KAMIKAZEEmanuele Aldrovandi
Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono / Zauvijek ću tvojem licu asocirati eksplodirajuće stvari
Coproduzione con / U koprodukciji s Teatro Biondo Palermo
Cosa unisce il tragico attentato del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi e la storia di una giovane regista cinematografica che ha scritto un film diviso in cinque quadri? E cosa hanno in comune tre parlamentari europei senza scrupoli e la strenua lotta di questa giovane artista per poter realizzare il suo film? Una riflessione estrema, proprio come gli estremismi che vuole rispecchiare. Dopo il successo di Enrico IV torna a Fiume Marco Lorenzi, in combinazione con il giovane talento Aldrovandi uno spettacolo letteralmente esplosivo.
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Što spaja tragični napad 13. studenoga 2015. na Bataclan u Parizu i priču o mladoj redateljici koja je napisala film podijeljen u pet scena? A što je zajedničko trima beskrupuloznim europarlamentarcima i mukotrpnoj borbi ove mlade umjetnice da snimi svoj film? Ekstremni odraz, baš kao i ekstremizmi koje želi odraziti. Nakon uspjeha „Henrika IV.“, u Rijeku se vraća Marco Lorenzi, ovaj put s mladim talentiranim piscem Aldrovandijem u jednu doslovno eksplozivnu predstavu, u važnoj koprodukciji sa sicilijanskim Teatrom Biondo iz Palerma.
Miei cari fratelli, non dimenticatevi mai, quando sentirete vantare il progresso dei lumi, che la beffa più geniale del diavolo è avervi convinto che lui non esiste
Charles Baudelaire, ventinovesima prosa dello Spleen di Parigi
UN GRANDE PARADOSSO
Cosa unisce il tragico attentato del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi e la storia di una giovane regista cinematografica che ha scritto un film diviso in quadri? E cosa hanno in comune 3 parlamentari europei senza scrupoli riuniti a cena a Bruxelles e la strenua lotta di questa giovane artista per poter realizzare il suo film? E cosa collega il tentativo maldestro di alcuni jihadisti di sfruttare il più possibile il marketing del terrore improvvisandosi videomakers con la storia di uno scrittore sessantenne che si ritrova a fare i conti con il suo passato?
Apparentemente nulla.
Apparentemente sembrano linee destinate a non incontrarsi mai.
Eppure non è così. Tutto è collegato. Ogni cosa dipende dall’altra come in un puzzle e il legame che unisce i pezzi di KAMIKAZE / Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono si ricompongono in un unico panorama in cui siamo presenti tutti. Anche noi che guardiamo. Affrontare questa creazione, infatti, ha voluto dire gettare uno sguardo ironico e clinico dentro l’abisso in cui siamo finiti, ovvero l’ultimo e più drammatico stadio di un capitalismo che si è fatto strutturale e disumano. Isolamento, depressione, burocratizzazione, dittatura della struttura e del capitale, instaurazione del presente come tempo unico, senza futuro e senza passato. Un’ autentica trappola di cui noi, donne e uomini occidentali del ventunesimo secolo, siamo i topi putativi. E da cui sembra impossibile trovare la via d’uscita.
Giocando con l’intuizione di Baudelaire potremmo dire: la beffa più grande del capitalismo è stata convincerci che non esiste l’alternativa. E’ davvero eccitante entrare gradualmente nel testo scritto da Aldrovandi: la capacità con cui ha declinato diversi quadri di cronaca contemporanea (politica internazionale, migrazione, terrorismo, manipolazione dei media, arte e mercato…) per nascondere con intelligenza e ironia un inquietante affresco della condizione contemporanea: il paradosso di vivere in un sistema apparentemente senza via di uscita. E del paradosso Emanuele fa un uso raffinato e brillante, arrivando a capovolgere costantemente le convinzioni e i punti di vista cui siamo abituati, squarciando con ironia e leggerezza il velo di Maya e chiedendoci di non essere mai tranquilli di fronte alla “geniale beffa” cui sembriamo sottoposti.
La grande sfida per me è stata trasformare tutto questo in una creazione scenica che si facesse attraversare proprio dal paradosso come cifra linguistica. Utilizzando a piene mani gli strumenti che il contemporaneo stesso ci mette a disposizione (tecnologie video estremamente avanzate) per ribaltarne le tesi. E contemporaneamente chiedere agli attori di entrare in un giocopirotecnico e estremamente divertente di scambi di ruoli, di situazioni paradossali e mai banalmente psicologiche. L’obiettivo ultimo è quello di esplorare il mistero che circonda questi fatti contemporanei, approfondendone le dinamiche sociali, ma soprattutto le strutture tragiche e archetipiche con ironia e originalità.
Sono convinto che non si può parlare di cosa significhi essere occidentali oggi, senza parlare di questa condizione. E non si può parlare di questa condizione senza parlare di equilibri di potere e di riduzione a prodotto di ogni aspetto della nostra vita. E non si può parlare di questa condizione senza affrontare il problema che ogni relazione (apparentemente ) sembri determinata a priori da una logica di mercato. Questo spettacolo parla di queste cose, di una Storia che procede inesorabile sostituendo nei secoli il petrolio alla religione e poi la finanza al petrolio, e di come questo meccanismo si ripeta kafkianamente identico a se stesso fregandosene altamente delle storie intime e fragili dei singoli esseri umani…uniche vittime sacrificali di questa grottesca tragedia.
UN PROGETTO INTERNAZIONALE
Proprio a partire da queste riflessioni, da quanto sia complicato e ramificato il puzzle del presente in cui viviamo, ho pensato che fosse estremamente affascinante riunire una compagnia di attori e attrici, ma anche di collaboratori e collaboratrici artistici che venissero da due diversi paesi europei, portatori di lingue e punti di vista diversi sul mondo che ci circonda. E attraversare insieme la creazione di questo spettacolo. Intrecciando lingue (italiano, inglese, croato) e linguaggi diversi (dal cinema al teatro), con il tentativo di riconsegnare con curiosità e creatività il paradosso di un presente estremamente frammentario e conflittuale, ma in fondo accomunato da un pensiero unico e eterodiretto: quello del capitale. Croazia, Italia, Europa: da Fiume a Palermo, due importanti teatri che hanno accettato con coraggio di guardare verso il presente. E la visione congiunta che abbiamo sviluppato con il Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc di Rijeka e il Teatro Biondo di Palermo ci sta permettendo di costruire un esperimento raro e prezioso, al centro del quale ci sono artisti di entrambe le nazionalità chiamati a creare insieme e a superare le diverse tradizioni, scuole, eredità culturali che ci appartengono, in nome del racconto corale di una condizione comune.
UNO ZABRISKIE POINT?
Nello splendido finale quanto mai profetico e liberatorio di Zabriskie Point, i beni di consumo esplodono e fluttuano nel cielo a rallenty. Quasi un atto psico-magico che però si esaurisce nella fantasia della protagonista del film.
Mi sono chiesto oggi – a cinquantaquattro anni di distanza dal capolavoro di Michelangelo Antonioni – se fossimo ancora a quel punto. Se davvero quell’esplosione vera o immaginaria che fosse, rimanesse l’unica alternativa all’accettazione di un quadro fosco, deprimente, inquietante, di un sistema che altrimenti ci permette di essere solo complici più o meno consapevoli. Siamo dunque ancora dentro un mexican standoff da cui non sembra esserci nessuna possibilità di uscita se non un gesto estremo e autodistruttivo?
Come si fa infatti a distruggere qualcosa che non ha confini, né alternative? Non si può, è un paradosso ed è su quello che ci siamo costruiti la prigione intellettuale di altissima sicurezza che, negli ultimi trent’anni almeno, ha permesso al capitalismo (come accade a ogni paradigma del Potere) di arrivare a sentirsi invincibile e onnipotente. Eppure non è esattamente così.
Ho provato a immaginare quanto possa essere rivoluzionaria la forza che ci regala il Teatro…
Ho provato a immaginare che proprio nel momento finale in cui la nostra protagonista, che con la sua fragile parabola unisce i vari pezzi del puzzle di Kamikaze, decida di sospendere il gesto cui sembra destinata, fermando il tempo, di infrangendo la prigione senza porte dello spettacolo e il paradosso senza alternativa. E con un piccolo, luminoso gesto, di riconsegnare agli spettatori una domanda che mi sta profondamente a cuore:”davvero non abbiamo un’altra alternativa possibile?”
A volte l’evento più minuscolo può ritagliare un buco nella grigia cortina delle scarse possibilità che la storia sembra permetterci. Ho fiducia che oggi persino il più piccolo barlume di una possibile alternativa (artistica, politica o culturale) possa produrre degli effetti sproporzionatamente grandi.“Da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile”, scriveva Mark Fischer.
Ecco, mi piacerebbe che Kamikaze ci riconsegnasse questa responsabilità, ovvero domandarci se sia possibile immaginare una nuova possibilità.
Per far collassare la tenda del circo, d’altronde, potrebbe bastare perfino la punta di uno spillo, no?
Draga moja braćo! Nemojte zaboraviti nikada, kad budete slušali od koga kako u zvijezde kuje slavu nebesku, da je najuspjelija od prevara Đavla kad vas uvjerava da on uopće ne postoji!
Charles Baudelaire, dvadeset deveta proza iz Spleena Pariza
JEDAN VELIKI PARADOKS
Što povezuje tragični atentat 13. studenog 2015. u Bataclanu u Parizu i priču mlade filmske redateljice koja je napisala film podijeljen u pet scena? Što dijele tri europska parlamentarca bez skrupula koji se okupljaju na večeri u Bruxellesu i odlučna borba mlade umjetnice da napravi film? Što povezuje nespretni pokušaj džihadista da maksimalno iskoriste propagandu terora postajući filmski snimatelji i priču šezdesetogodišnjeg pisca koji se suočava sa svojom prošlošću?
Naoko ništa.
Čini se da su te linije osuđene na to da se nikada ne susretnu. Ipak, to nije tako. Sve je povezano. Kao u slagalici, sve ovisi jedno o drugome, a spona koja povezuje fragmente KAMIKAZE / Zauvijek ću tvojem licu asocirati eksplodirajuće stvari preslaguje ih u jedinstvenu panoramu u kojoj smo svi prisutni. Čak i mi promatrači.
Suočavanje s ovom kreacijom zahtijevalo je od nas da ironično, i klinično zavirimo u ponor u kojem smo se našli, odnosno, u posljednju i najdramatičniju fazu kapitalizma koji je postao strukturalan i neljudski. Izolacija, depresija, birokratizacija, diktatura strukture i kapitala, uspostava sadašnjosti kao jedinog vremena, bez budućnosti i prošlosti. Prava zamka u kojoj se mi, žene i muškarci zapadnog svijeta 21. stoljeća, nalazimo kao svojevrsni miševi. I iz koje se čini da je nemoguće naći izlaz. Igrajući se s Baudelairovom intuicijom, možemo reći: najveća obmana kapitalizma bila je uvjeriti nas da alternativa ne postoji.
Zaista je uzbudljivo postupno uranjati u Aldrovandijev tekst: sposobnost s kojom je opisao različite slike suvremenih kronika (međunarodna politika, migracije, terorizam, manipulacija medijima, umjetnost i tržište…) kako bi inteligentno i ironično prikrio zastrašujući prikaz suvremenog stanja: paradoks življenja u naizgled bezizlaznom sustavu. A Emanuele koristi paradoks na suptilan i sjajan način, konstantno preokrećući uvjerenja i gledišta na koja smo navikli, razotkrivajući s ironijom i lakoćom veo božice Māye, tražeći od nas da nikada ne ostanemo mirni pred “genijalnom prevarom” pred kojom smo izvrgnuti.
Za mene je veliki izazov bio pretočiti sve u scensko djelo koje bi bilo upravo prožeto paradoksom kao jezičnim sredstvom, koristeći pritom sve alate koje nam suvremenost pruža (napredne video tehnologije) kako bismo obrnuli teze i još istovremeno tražiti od glumaca da se upuste u uzbudljivu i iznimno zabavnu igru mijenjanja uloga, paradoksalnih situacija, nikada banalno psihologiziranih. Konačni cilj je istražiti misterij koji okružuje ove suvremene događaje dubinski otkrivajući društvene dinamike, ali i tragične i arhetipske strukture pomoću ironije i originalnosti.
Uvjeren sam da se ne može razgovarati o tome što znači biti Zapadnjak danas, a da se ne govori o ovome stanju. I ne možemo razgovarati o ovome stanju, a da ne govorimo o ravnoteži moći i pretvaranju svakog aspekta našeg života u proizvod. I ne možemo razgovarati o ovome stanju, a da se ne suočimo s problemom da svaki odnos (navodno) biva, izgleda, unaprijed određen tržišnom logikom.
Ova predstava govori o tim stvarima, o Povijesti koja neumoljivo napreduje, zamjenjujući tijekom stoljeća religiju naftom, a zatim naftu financijama, i o tome kako se ovaj mehanizam kafkijanski identično ponavlja ne obazirući se na intimne i krhke priče ljudi… jedinih žrtvi ovog grotesknog i tragičnog scenarija.
MEĐUNARODNI PROJEKT
Upravo zbog ovih razmišljanja, o tome koliko je složena i razgranata slagalica sadašnjosti u kojoj živimo, smatrao sam izuzetno zanimljivim okupiti ansambl glumaca i glumica, ali i umjetničkih suradnika i suradnica koji dolaze iz dviju različitih europskih država, nositelje različitih jezika i pogleda na svijet koji nas okružuje kako bismo zajedno prošli kroz stvaranje ove predstave. Povezujući jezike (talijanski, engleski, hrvatski) i različite jezične izraze (od filma do kazališta), s ciljem da se s radoznalošću i kreativnošću odrazi paradoks izuzetno fragmentiranog i konfliktnog sadašnjeg trenutka, ali u osnovi obilježenog jedinstvenim i nametnutim mišljenjem: onim kapitala.
Hrvatska, Italija, Europa: od Rijeke do Palerma, dva važna kazališta hrabro su prihvatila gledati prema sadašnjosti. Zajednička vizija koju smo razvili s Hrvatskim narodnim kazalištem Ivana pl. Zajca u Rijeci i Teatrom Biondo u Palermu omogućila nam je izgradnju rijetkog i dragocjenog eksperimenta. U središtu toga su umjetnici dviju nacionalnosti, pozvani da stvaraju zajedno i prevladavaju različite tradicije, škole i kulturna nasljeđa kojima pripadaju, u ime zborne priče o zajedničkom stanju.
JEDAN ZABRISKIE POINT?
U predivnom i proročanskom završetku Zabriskie Pointa, potrošna roba eksplodira i leti u nebesa tijekom spore snimke. To je gotovo psihomagični čin koji se, međutim, iscrpljuje u mašti protagonistice filma. Danas, pedeset četiri godine nakon remekdjela Michelangela Antonionija, pitam se jesmo li još uvijek na istom mjestu. Je li ta stvarna ili izmišljena eksplozija jedina alternativa prihvaćanju mračne, depresivne, uznemirujuće slike sustava koji nas, inače, čini samo više ili manje svjesnim suučesnicima. Jesmo li još uvijek zaglavili u nepomičnom stanju iz kojeg nema izlaza osim pomoću krajnje i autodestruktivne geste?
Kako uništiti nešto što nema niti granica, niti drugih alternativa? Ne možemo, to je paradoks, a na tom paradoksu izgrađen je naš intelektualni zatvor visoke sigurnosti koji je, barem posljednjih trideset godina, omogućio kapitalizmu (kao i svakoj paradigmi Moći) da se osjeća nepobjedivim i svemoćnim. Ipak, stvarnost nije baš takva.
Pokušao sam zamisliti koliko revolucionarna može biti snaga koju nam daruje kazalište… Pokušao sam zamisliti da upravo u završnom trenutku, naša protagonistica, koja svojom krhkom putanjom povezuje različite dijelove slagalice Kamikaze, odluči prekinuti čin koji joj se čini suđen, zaustaviti vrijeme, razbiti zatvor bez izlaza cijele predstave koju živimo i paradoks bez alternative. I s malom i svijetlom gestom, vratiti gledateljima pitanje do kojeg mi je jako stalo: “Zar stvarno nemamo drugu mogućnost?”
Ponekad i najmanji događaj može izrezati rupu u sivoj zavjesi malenih mogućnosti za koje nam se čini da nam Povijest dopušta. Vjerujem da danas, čak i najmanji sjaj moguće alternative (umjetničke, političke ili kulturne), može izazvati nevjerojatno velike učinke. „Iz situacije gdje se ništa ne može dogoditi, sve odjednom postaje moguće.“, pisao je Mark Fischer.
Dakle, volio bih da Kamikaze vrate tu odgovornost nama, da se zapitamo možemo li zamisliti jednu novu mogućnost…
Zar ne bi čak i sam vrh igle mogao biti dovoljan da sruši cirkuski šator?
Quando mi chiedono “di cosa parla un testo?” faccio sempre fatica a rispondere, perché se avessi qualcosa di specifico “di cui parlare”, forse scriverei un saggio o un pamphlet. Ancora di più se avessi “qualcosa da dire”, o “un messaggio da mandare”.
I testi teatrali invece li scrivo quando ho domande alle quali non so come rispondere. Possono essere domande intime e personali, sociali e politiche o anche astratte e filosofiche – spesso in realtà hanno a che vedere, più o meno, con tutte queste sfere. E anche se gli esiti formali e stilistici sono diversi e si sono in parte modificati negli anni, quello che non cambia mai (o che almeno non è cambiato finora, per il futuro non posso escludere niente) è l’approccio dubitativo: la scrittura per me è un modo di andare in profondità ai miei dubbi, di “farli vivere” attraverso storie e personaggi che li incarnino. È una forma di ricerca che attraverso l’esasperazione dei punti di vista porta all’emersione di conflitti irrisolvibili. L’impianto è spesso tragico – nel senso che non ci sono “soluzioni”, ma mentre scrivo, oltre a mettermi in difficoltà, cerco anche il più possibile di divertirmi. E questo porta quasi sempre i miei testi ad avere momenti di “commedia”; oltre a un’attitudine personale, l’aspetto ironico è anche un modo per coinvolgere gli spettatori e provare – che poi il tentativo sia riuscito o no, non spetta a me dirlo – a portarli lontano da certe consuetudini di pensiero con le quali sono/siamo abituati a guardare alcuni aspetti del reale.
Per questo testo lo stimolo di partenza è stato l’attentato al Bataclan del 2015. Quando sono arrivate le prime notizie ero in aeroporto a Milano e stavo per prendere un aereo per Londra. Guardando le immagini dell’attentato mi sono chiesto cosa potesse spingere dei ragazzi più o meno della mia età, nati e cresciuti come me in Europa, a sacrificare la propria vita per distruggerne delle altre? Non mi accontentavo del “giudizio”, avevo bisogno di provare a capire, di provare a mettermi “dalla loro parte” per immaginare quale fosse la prospettiva di senso che potesse portare a una scelta del genere. Da lì è nato il quadro sul “Bataclan” e poi, come accade spesso, andando in profondità a certi dubbi, invece di trovare risposte, si moltiplicano le domande. E quindi i capitoli sono aumentati e il tema si è allargato.
Potrei provare a leggerlo retrospettivamente, come se non lo avessi scritto io – e in effetti in un certo senso è così perché sono passati un po’ di anni – per analizzare i contorni e le direzioni di questo “tema”, ma non sarei soddisfatto di nessuna delle cose che direi. Alla fine, se ho sentito il desiderio di scrivere un testo su due livelli, con così tanti quadri e così tanti personaggi, è perché non avrei potuto fare con meno. Quindi preferisco restare “al di qua delle definizioni”, lasciare al regista il compito di scegliere la chiave in cui mettere in scena lo spettacolo e agli spettatori la libertà di interpretarlo senza mie “indicazioni”.
Spero solo che siate un po’ coinvolti e un po’ sconvolti.
Buona visione a tutti!
Uvijek se mučim kada me pitaju „o čemu je tekst?“. Kad bih imao nešto konkretno „za ispričati“, možda bih radije napisao esej ili pamflet. Posebice ako bih imao „nešto za reći“ ili „poruku za poslati“.
Ipak, kazališne tekstove pišem kada sam suočen s pitanjima na koje ne znam odgovoriti. Ona mogu biti intimna i osobna, društvena i politička, čak apstraktna i filozofska; često u stvarnosti imaju veze, više ili manje, sa svakom od tih sfera.
Pa čak i ako su formalno-stilski ishodi različiti i djelomično izmijenjeni tijekom godina, ono što se ne mijenja (ili se barem nije promijenilo do sada, ne mogu ništa isključiti za budućnost) je sumnjičavi pristup: pisanje je za mene način da proniknem u svoje sumnje, da ih “oživim” kroz priče i likove koji ih utjelovljuju. Riječ je o istraživanju koje uznemiravanjem gledišta dovodi do nastanka nerješivih sukoba. Postavka je često tragična – u smislu da nema „rješenja“ – ali tijekom pisanja, osim što si otežavam, pokušavam se i što više zabaviti. To uvijek dovodi do toga da moji tekstovi imaju trenutke „komedije“; osim osobnog stava, ironijski aspekt svega je i nastojanje da se gledatelje uključi i pokuša – je li pokušaj bio uspješan ili ne, nije na meni da govorim – odvratiti od određenih misaonih navika kojima su/smo navikli gledati na neke aspekte stvarnosti.
Za ovaj tekst prvi poticaj bio je napad na Bataclan 2015. Kada su stigle prve vijesti bio sam na aerodromu u Milanu i trebao sam sjesti na avion za London. Gledajući slike napada, pitao sam se što je moglo natjerati djecu više-manje mojih godina, rođenu i odgojenu poput mene u Europi, da žrtvuju svoje živote kako bi uništili druge? Nisam bio zadovoljan „presudom“, trebao sam pokušati razumjeti, pokušati prijeći „na njihovu stranu“ da zamislim koja je to perspektiva značenja mogla dovesti do takvog izbora. Otuda se rodila slika o „Bataclanu“, a onda su se nadalje, kako to često biva, udubljivanjem u određene nedoumice, umjesto odgovora, pitanja množila. I tako su se poglavlja povećavala, a tema proširivala.
Mogao bih tekst pokušati retrospektivno pročitati, kao da ga nisam ni napisao – a zapravo je u određenom smislu tako jer je prošlo nekoliko godina – analizirati konture i pravce te “teme”, ali ne bih bio zadovoljan nijednom od stvari koje bih rekao.
Na kraju, ako sam osjetio želju da napišem tekst na dvije razine, s toliko slika i toliko likova, to je zato što s manje nisam mogao.
Stoga radije ostajem “iza definicija”, ostavljajući redatelju da odabere ključ u kojem će predstava biti postavljena, a gledateljima slobodu da je interpretiraju bez mojih “instrukcija”.
Nadam se da ćete istovremeno biti očarani, ali i razočarani.
Sretno gledanje svima!
Kamikaze è la storia di una regista che vuole girare un film. Di questo film, nel corso dello spettacolo, noi vediamo 4 scene proiettate su uno schermo. La grande sfida di questo lavoro è stata quella di fondere il cinema con il teatro in una maniera più profonda e articolata di quanto non si faccia di solito.
Quello che di solito si fa a teatro è utilizzare il linguaggio cinematografico proiettando dei video, che sono quindi girati e montati in precedenza, durante gli spettacoli. Quello che noi abbiamo deciso di fare è stato non solo proiettarli, ma anche realizzarli durante lo spettacolo, avvicinando quindi il cinema alla performance teatrale che per sua natura avviene dal vivo. Il cinema, in Kamikaze, è come il teatro: ogni sera è nuovo e diverso.
La base del cinema è il montaggio e, per montare un film, è necessario che a una inquadratura ne succeda un’altra differente. Per fare questo dal vivo, abbiamo dovuto munirci innanzitutto di un programma di montaggio live e poi prevedere l’utilizzo di due camere, di modo da poter passare dall’una all’altra in tempo reale. Nel corso dello spettacolo, sono gli attori a diventare di volta in volta operatori, e quindi abbiamo dovuto fargli un vero e proprio corso di ripresa. Al cinema, esclusi i piani sequenza, una scena è raccontata con diverse inquadrature. Di conseguenza, durante le riprese, ci si interrompe molto spesso per cambiare la posizione della camera, delle luci, delle ottiche. Noi, non volendo né potendo interrompere le scene, abbiamo dovuto ragionare innanzitutto su una luce che, pur non cambiando mai nel corso della scena e pur senza color correction, restituisse la qualità più cinematografica possibile. Ma soprattutto abbiamo dovuto mettere in piedi una vera e propria coreografia degli attori/operatori ragionata secondo questa logica: mentre uno sta riprendendo quello che stiamo effettivamente mostrando live sullo schermo, l’altro va a guadagnarsi l’inquadratura successiva, cambiando posizione della camera o la lunghezza focale o entrambe. Quando, tramite il montaggio, passiamo su questa seconda inquadratura, è allora il primo operatore che va a guadagnarsi la terza inquadratura che poi sarà proiettata. E così via per tutta la scena. Ovviamente, all’interno di questa coreografia rientra anche il tecnico che si occupa del montaggio live e che deve sapere esattamente quando passare da una camera all’altra.
Il risultato è una narrazione cinematografica che si restituisce nella sua forma “tradizionale” nel film che viene proiettato sullo schermo, e in un “realizzarsi” o “avvenire” dal vivo, teatralmente, sul palco, in una modalità assolutamente inusuale.
„Kamikaze“ je priča o redateljici koja želi snimiti film. Tijekom predstave vidimo četiri scene filma projicirane na platno. Bio je veliki izazov spojiti kino i kazalište na dublji i kompleksniji način nego što se inače radi.
Ono što se obično radi u kazalištu je korištenje kinematografskog jezika projiciranjem videa, koji se prethodno snimaju i montiraju, tijekom predstava. Odlučili smo ih ne samo projicirati, već i kreirati tijekom predstave, približavajući kino kazališnoj izvedbi koja se po svojoj prirodi odvija uživo. Kino je u „Kamikazama“ poput kazališta: svake je večeri novo i drugačije.
Osnova kinematografije je montaža, a za montažu filma potrebno je da jedan kadar slijedi drugi i drugačiji. Kako bismo to uspjeli uživo, prvo smo se morali opremiti programom za live montažu, a zatim isplanirati korištenje dviju kamera kako bismo se mogli prebacivati s jedne na drugu u stvarnom vremenu. Tijekom predstave glumci su ti koji s vremena na vrijeme postaju operateri, pa smo im morali održati snimateljski tečaj. U kinu, isključujući sekvence kadrova, scena se ispripovijeda kroz nekolicinu kadrova. Zbog toga tijekom snimanja vrlo često prekidamo proces kako bismo promijenili položaj kamere, svjetla i optiku. Ne želeći ili ne mogavši prekidati scene, morali smo prije svega razmišljati o svjetlu koje bi, iako se ne mijenja tijekom scene i bez korekcije boja, vratilo kvalitetu najbližu onoj filmskoj. Ali, prije svega, morali smo postaviti pravu koreografiju glumaca/operatera koja se temelji na sljedećoj logici: dok jedan snima ono što zapravo uživo prikazujemo na platnu, drugi odlazi pripremiti sljedeći kadar, mijenjajući položaj kamere, ili žarišne duljine, ili oboje. Kada kroz montažu prijeđemo na drugi kadar, tada prvi operater dobiva treći kadar koji će se zatim projicirati. I tako kroz cijelu scenu. Očito je u tu koreografiju uključen i tehničar koji se bavi montažom uživo i koji mora točno znati kada treba prijeći s jedne kamere na drugu.
Rezultat je kinematografski narativ koji se vraća u svom „tradicionalnom“ obliku, filmu koji se projicira na platno, a „ostvaruje se“ ili „događa“ uživo, teatralno, na pozornici, na posve neobičan način.
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